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Le parole dell’odio. Antiche come khmer e viet

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Un giovane vietnamita è stato ucciso pochi giorni fa nelle strade di Phnom Penh. Per puro razzismo dicono molti testimoni. C’era stata una discussione sul traffico, poi Nguyen Yaing Ngoc, 28 anni, viet d’origine ma nato nella capitale cambogiana, è stato linciato in mezzo a una strada trafficata, la Road 2. Sei uomini lo hanno riempito di pugni e calci dopo una discussione per non aver rimosso subito dalla carreggiata la moto di suo fratello, ferito dopo un tamponamento con un’auto che poi è fuggita.

Il corpo del giovane viet linciato in una strada di Phnom Penh

Il corpo del giovane viet linciato in una strada di Phnom Penh (foto giaoduc.net.vn)

L’odio scatenato nel branco contro Yaing nasce purtroppo da lontano, e la ferocia del linciaggio cela molto di più della rabbia per il piccolo incidente di ”intralcio” al traffico. Secondo la moglie della vittima Men Sinath, 26 anni, di etnia khmer cambogiana che aspetta un bambino destinato a nascere senza padre entro un mese, gli assassini e la folla intorno hanno insultato suo marito con l’epiteto peggiore per un viet, “yuon”, che al di là del generico significato è intesa in Kampuchea come un’offesa, pressapoco come dire: “selvaggio”. Spesso viene rivolto dai locali contro i membri della folta comunità vietnamita residente in Cambogia.

Poiché c’è stato un solo morto, la notizia non è uscita con rilievo al di fuori del circuito dei media nazionali e il Cambodia daily è stata la principale fonte di informazioni in inglese sulla vicenda. Ma la vittima di questo odio etnico allo stato puro non è un caso isolato nel tran tran intimamente violento di una piccola metropoli dell’Asia che sta crescendo e “modernizzandosi” con rapidità impressionante a spese dei più poveri e delle minoranze, allontanati forzatamente dalla città. Lo stesso governo del Vietnam ha chiesto un’indagine approfondita sull’episodio per portare i responsabili alla giustizia e le autorità cambogiane hanno promesso di voler fare del tutto per scoprirli. Ma nonostante i molti testimoni, nessuno degli accusati è stato finora identificato.

Tra i fatti del recente passato che spiegano che cosa puo’ aver contribuito ad armare la mano dei sei uomini responsabili della morte di Yaing, c’è una contesa territoriale dei residenti della stessa area dove si sono verificati l’incidente di moto e il seguente pestaggio, attorno alla pagoda di Chak Angre Loeu, nel distretto Meanchey. Presappoco 13 anni fa,  nel marzo del 2000, i monaci del tempio avevano minacciato di autoimmolarsi se le autorità cittadine non avessero sgombrato tutte le baracche abitate dai viet nella zona. Ne seguirono tafferugli e accuse reciproche di violenze, e molte delle capanne tirate su con legno e tettoie di alluminio fin dagli anni ’80 per ospitare immigrati e residenti vietnamiti poveri, furono buttate giù e la gente allontanata.

Non mancarono tentativi di resistenza dei dislocati, che nella maggior parte dei casi non sapevano dove andare, ma in gran numero hanno dovuto traslocare ugualmente altrove.

La moglie del giovane viet ucciso

La moglie del giovane viet ucciso

Forse proprio per il fatto di aver sposato una khmer, il malcapitato protagonista della nostra storia era rimasto a vivere in una di quelle catapecchie sulle rive del Tonlesap, il braccio del leggendario Mekong che attraversa Phnom Penh. E’ qui infatti che i cronisti hanno incontrato la moglie di Yaing, disperata anche perché non riesce ancora a capacitarsi della morte di suo marito e padre del figlio che ha in grembo a causa delle sue origini. “Non credevo che mio marito sarebbe stato ucciso per questa parola”, ha detto Men Sinath. Il termine yuon infatti ricorre spesso nelle diatribe tra le due coumnità, anche nel villaggio chiamato Tuol Rokar tra il tempio e il fiume dove vivevano Yaing e Sinath. “E’ nato in Cambogia – ha ricordato la donna al Cambodia daily – Ha vissuto qui tutta la sua vita, ha una moglie cambogiana e presto un bambino cambogiano. Puo’ davvero essere stato ucciso perché vietnamita?”.

Le indagini sono in corso per stabilire l’esatta dinamica dei fatti, ma sembra ormai fuori di dubbio che l’aspetto razziale abbia funzionato da scintilla come hanno ammesso gli stessi investigatori. Nessun’altra motivazione potrebbe aver giustificato del resto la violenza del pestaggio durato 15 minuti senza alcun intervento della polizia o dei passanti. Un uomo è anche stato arrestato “per incitazione all’odio”, probabilmente si tratta di colui che ha iniziato a usare l’epiteto yuon contro il giovane vietnamita. Ma degli autori materiali non c’è traccia.

I vietnamiti entrano a Phnom Penh nel '79

I vietnamiti entrano a Phnom Penh nel ’79

Quest’odio è come una nuvola nera che sovrasta il Paese da decenni se non da secoli, anche se il regno fu liberato proprio dai vietnamiti nel ’79 dopo i cinque anni dell’olocausto a opera dei khmer rossi di Pol Pot. Lontani dal provare alcuna riconoscenza postuma verso un “invasore” che secondo loro avrebbe approfittato della “liberazione” per sfruttare le risorse del Regno, durante l’intera campagna elettorale del luglio scorso i cambogiani sono stati letteralmente bombardati di messaggi antiviet dall’opposizione guidata da Sam Rainsy, che ha attribuito la vittoria del Partito popolare guidato dal premier Hun Sen ai brogli del governo e ai falsi voti dei vietnamiti.

Gli immigrati e i residenti viet di vecchia data furono accusati dai politici del partito dei Diritti Umani di Rainsy (nome inappropriato vista la vena razzista dei suoi leader) di rubare il lavoro, di acquisire le terre e di edificare selvaggiamente cacciando la gente locale, oltre ad aver votato il partito di maggioranza del premier senza validi documenti di cittadinanza.  Accuse che solo in parte corrispondono alla realtà, ma hanno fatto facile breccia tra larghe fasce d popolazione, soprattutto quelle più deboli che si ritengono colpite dall’intraprendenza economica e commerciale degli immigrati. 

I cambogiani festeggiano le truppe viet che lasciano dopo 10 anni il Regno.

I cambogiani festeggiano le truppe viet che lasciano dopo 10 anni il Regno.

Ma è soprattutto nelle aree a forte presenza viet come Meanchey che la tensione è sempre palpabile. Dopo la morte di Yaing, i religiosi  della Pagoda al centro delle rivolte del 2000 hanno perfino cremato il suo corpo senza lasciare il tempo per l’autopsia. Il governatore distrettuale Kuoch Chamroeun ha confermato che il razzismo è stato di certo all’origine del delitto, visto il tono degli epiteti gridati dagli assalitori. “La folla ha ucciso la vittima chiamandolo Yuon”, ha rivelato. Un linciaggio concluso dopo che Nguyen Yaing Ngoc, rialzatosi barcollante dal selciato, è crollato a terra morto dopo aver fatto pochi passi per tentare la fuga.

Il responsabile del Comitato per i diritti umani della Cambogia, Ou Virak, ha in parte cercato di ridimensionare il ruolo dei partiti di opposizione nella campagna d’odio razziale. “L’opposizione ha giocato la carta anti-Yuon molto spesso – ha detto – ma l’atteggiamento negativo che alcuni cambogiani hanno verso i vietnamiti è molto diffuso e generale. Non dovrebbe essere attribuito ad alcun partito politico in particolare”. “Questo caso dimostra pero’ che usare tale parola puo’ essere molto pericoloso.”

Uno dei tanti massacri di viet cong da parte dell'areonautica Usa durante l'Offensiva del Tet che coinvolse anche la Cambogia.

Uno dei tanti massacri di viet cong da parte dell’areonautica Usa durante l’Offensiva del Tet che coinvolse anche la Cambogia.

Il signor Virak non ha torto a ricordare che il clima razzista è ben precedente alla campagna elettorale, e coinvolge – anche se oggi in misura minore – gli stessi thalandesi che pretendono diritti sul tempio di Preah Vihear e altri territori del Sud conquistati ai tempi del regno del Siam. Ma senza risalire alle dispute secolari sui territori dell’ex impero khmer (quando i re di Khampuchea possedevano perfino le aree del fertile delta del Mekong dove oggi sorge Ho Chi Minh city), uno degli episodi più raccapriccianti della storia moderna fu la caccia e il massacro di centinaia se non migliaia di vietnamiti all’indomani della presa di potere di Lon Nol. Capo di un governo-fantoccio appoggiato dagli Stati Uniti contro l’allora re Sihanouk e i comunisti viet e khmer, Lon Nol scateno’ tra il 70 e il 71 contro di loro una campagna di odio strutturata con milizie volontarie organizzate nei villaggi. Centinaia di cadaveri galleggiarono lungo il Tonle Sap e il Mekong, uccisi da contadini ignoranti convinti che dovevano salvare il Paese da una presunta invasione dei vietcong.

In realtà l’esercito vietnamita entro’ in Cambogia da liberatore solo molti anni dopo, mentre la comunità internazionale assisteva impotente agli abusi dei khmer rossi. A guidarli nel Paese furono proprio gli ex guerriglieri khmer di Pol Pot – tra i quali l’attuale premier Hun Sen – fuggiti in Vietnam per scampare alle purghe del sanguinario regime instaurato dal partito comunista di Kampuchea, che provoco’ direttamente e indirettamente la morte di un quarto della popolazione cambogiana, oltre 2 milioni di uomini, donne e bambini.

Il Primo ministro khmer Hun Sen, - sinistra - e il so omologo vietnamita Nguyen Tan Dung in un incontro recente ad Hanoi

Il Primo ministro khmer Hun Sen, – sinistra – e il suo omologo vietnamita Nguyen Tan Dung in un incontro recente ad Hanoi

Dopo la fine del governo provvisorio dei viet e il ritiro delle loro truppe. Hun Sen ebbe un ruolo di rilievo nel governo provvisorio formato sotto l’egida delle Nazioni Unite, finché prese decisamente il comando, ma senza mai dimenticare il debito di riconoscenza verso Hanoi. Per questo oggi è accusato di essere ancora un alleato degli odiati yuon. Lo stesso leader dell’opposizione Sam Rainsy fu costretto all’esilio da Hun Sen nel 2005 perché aveva incitato le popolazioni vicine alla frontiera a spostare in avanti i pali di confine piazzati dopo la ritirata dell’esercito vietnamita.

Rainsy rientro’ pochi giorni prima della vigilia del voto di sette mesi fa, su sollecito degli Stati Uniti preoccupati dei diritti politici delle opposizioni. Ma subito Rainsy gioco’ la carta razziale anti vietnamita per conquistare voti, anche se non è riuscito a spodestare il partito di governo.

L’incidente costato la vita a Yaing dimostra che le condizioni per nuovi casi di intolleranza sono sempre presenti, una spina nel fianco per un Paese ancora poverissimo dove regnano disarmonia sociale e ineguaglianze. La stessa leader di una delle prime associazioni dei diritti umani del Paese, la Lichado, ci parlo’ a lungo dei privilegi di cui godevano secondo lei i vietnamiti, e in qualche modo giustificava l’odio etnico che ne scaturiva.

Senza molti alleati a difenderli oltre alle dichiarazioni di condanna dei soprusi e alla solidarietà governo – che favorisce pero’ le grandi compagnie straniere senza occuparsi degli immigrati più poveri – i viet continuano a pagare anche per la loro presunta intraprendenza commerciale contrapposta a una certa rilassatezza dei khmer. Per questo basta poco a ferire l’orgoglio delle popolazioni locali che dall’apertura economica guadagnano solo guai e si considerano umiliate ed espropriate dei loro diritti.

Non sarà secondario ricordare infine che gli stessi sentimenti di odio razziale basati sulla mancanza di lavoro per tutti e sui presunti soprusi degli uni sugli altri, sono stati all’origine delle rivolte anti musulmane nel nord ovest della Birmania, specialmente nello stato di Arakan. A scatenare veri e propri pogrom hanno contribuito anche in Birmania episodi simili a quello dell’incidente con il motorino di Phnom Penh, e in entrambi i casi gli autori delle violenze sono cittadini di religione buddhista, teoricamente la più pacifica tra tutte. Ma non c’è fede che tenga quando povertà, emarginazione, pregiudizio e calcolo politico giungono a formare una bomba esplosiva difficilissima da disinnescare. I quattro bambini uccisi tra sabato e domenica nella buddhista Thailandia ne sono l’ulteriore, terribile conferma.


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